"Oh Romeo Romeo, Perché sei tu Romeo!? Rinnega tuo padre, rifiuta il tuo nome, o se non vuoi, giura che mi ami e non sarò più una Capuleti."
La frase citata è una delle più famose in assoluto di questa straordinaria opera e sento l'esigenza di riprenderla per spiegare un meccanismo molto profondo: la richiesta che spesso facciamo agli altri di rinnegare le loro radici. Gran parte delle dinamiche di coppia hanno qui la loro origine, ma trattandosi di una richiesta inconscia non ci si rende conto nemmeno di porla, quindi siamo completamente ignari delle sue conseguenze. Partiamo dall'inizio. Chi siamo noi? Da dove vengono le nostre idee? E le reazioni automatiche? Qual è l'origine dei meccanismi comportamentali nostri e altrui? Noi siamo molto di più di piccoli corpi soli, siamo vita, essenza che abita un corpo e gioca a fare esperienza attraverso di esso. Questa esperienza non si perde con la morte, ma rimane per contro a disposizione dell'intera specie ed in particolar modo del gruppo di appartenenza, nel nostro caso la famiglia. La teoria dei Campi Morfogenetici parla proprio di questo e recenti studi ufficiali hanno dimostrato, attraverso esperimenti sui topi, che gli eventi (specialmente quelli traumatici) dei nonni condizionano le reazioni automatiche dei nipoti. In questo senso, persino il nostro corpo, è ben più di un ammasso di carne, in quanto possiede un archivio di tutte le esperienze di chi ci ha preceduti o comunque una connessione ad esso. In questo senso, tutti i comportamenti nostri e le reazioni istintive agli eventi, così come la prima percezione, quella immediata, derivano dal legame col nostro gruppo di appartenenza. Ogni famiglia ha esperienze diverse e persino all'interno della stessa possono esserci fratture, in quanto ogni coppia è l'unione di gruppi diversi e non è detto che si siano realmente integrati. Ci possono essere quindi persone, all'interno della stessa famiglia, che appoggiano una delle due parti di un antico conflitto, mentre le altre entrano in sostegno dell'opposta visione. Qui mi rendo conto che le cose si complicano e non è fondamentale, ai fini di questo articolo, entrare così nel dettaglio. Fin qui, la cosa importante e da aver chiara, è quindi la natura profonda e sostanziale del nostro rapporto col gruppo, dal quale ereditiamo le idee di cosa è giusto, di ciò che non possiamo accettare, l'interpretazione più istintiva delle cose e persino le reazioni. Un vero e proprio pacchetto di programmi, che viviamo su tutti i livelli e con i quali ci identifichiamo enormemente. Lascia che te lo ripeta: le nostre idee, la morale, le reazioni agli eventi e più in generale i meccanismi comportamentali nostri e altrui derivano almeno in parte, a livello basilare, dalla nostra famiglia. Anche le ferite emozionali possono essere viste diversamente se allarghiamo lo sguardo alla famiglia, abbandonando l'idea del singolo in quanto tale e contemplandolo nella serie di interazioni attraverso cui si forma. Se una madre si comporta in un modo, ferendo il figlio, rifiutandolo, abbandonandolo e tradendo le sue aspettative, è perché probabilmente ella stessa ha vissuto tale condizione, oppure un'esperienza diversa, nella quale comunque è interiormente rimasta ferma. Vuoti da riempire, mancanze e traumi vissuti nella propria famiglia d'origine fanno in modo che la persona rimanga in richiesta, che senta di non avere abbastanza e quindi non poter dare. In questo senso, la mancanza di qualcuno molte generazioni prima, anche fosse a causa di una precoce scomparsa, rischia di spostare gli equilibri di tutti i discendenti. La prima persona rimasta nel bisogno è interiormente in ricerca del genitore, quindi incapace di vedere il figlio realmente, a partire da un integrità che in effetti non conosce. Così come questa antenata ha trovato la sua soluzione per sopravvivere, magari cercando quelle attenzioni nel partner, oppure pretendendo di essere accudita dai figli, quella stessa reazione istintiva di sopravvivenza potrebbe passare a noi e magari finiamo per metterla in atto senza nemmeno accorgercene. Questo sguardo allargato sulla situazione non giustifica gli eventi, perché ad ogni azione corrisponde una reazione e la creazione, quindi, di un destino. Si tratta di una visione che non giudica positivamente né negativamente l'accaduto, bensì si concentra sulla comprensione di ogni tassello e del quadro di cui ognuno di essi è parte. Se tutto deriva dalla famiglia, quindi, giudicando qualcuno e chiedendogli di cambiare stiamo effettivamente chiedendo a lui di "rinnegare" le sue radici, di rinunciare al suo nome. E l'altro, sentendosi toccato, reagirà chiedendo a noi la stessa cosa e cercando di riconquistare la partirà, abbattendo il piedistallo su cui ci siamo messi sentendoci migliori. L'appartenenza, in tempi moderni data per scontata, è ciò che ha permesso agli individui di sopravvivere dall'origine della specie ad oggi. Non abbiamo artigli, né denti adatti a lottare con gli altri animali, quindi la nostra salvezza è stata il branco e l'unione ha costituito la nostra forza. Chiedere a qualcuno di rinunciare ai suoi comportamenti e alle sue idee, per conformarsi alle nostre, significa chiedergli di rifiutare la sua appartenenza e quindi invitarlo, in sostanza, a morire per noi. Pur quanto possiamo avercela con i nostri genitori e familiari, arrivando ad essere convinti di odiarli, ci sarà comunque una parte di noi grata per aver ricevuto la vita e fedele come lo sono tutti gli animali sociali. Spesso guardiamo gli animali con amore per la loro fedeltà, gli riconosciamo una capacità di amare molto superiore a quella dell'uomo, ma anche noi abbiamo quella stessa qualità, anche se talvolta sepolta nel nostro inconscio. Quando non comprendiamo questi aspetti e li releghiamo nell'inconscio, essi diventano i registi del film che chiamiamo vita. Poiché c'è una parte, più o meno inconscia, grata alla famiglia, rinunciare a ciò che conserviamo in noi di essa è vissuto come un sottile tradimento. Spesso non ce ne rendiamo nemmeno conto di sentirci traditori, ma anche qualora ci riusciamo, è possibile che questo senso di colpa si manifesti come autosabotaggio, mettendoci nelle condizioni di espiare le violazioni. Tutti conosciamo la fine di Giulietta e Romeo, un finale, ai miei occhi, scritto già nella frase citata. Ad un occhio attento, conoscendo le dinamiche, nell'alba è possibile vedere il tramonto. E quando pretendiamo che l'altro cambi, per conformarsi ai nostri schemi, nella migliore delle ipotesi saremo delusi. Nella peggiore la vita con questa persona sarà conflittuale, perché lui difenderà il diritto di essere "fedele" alla famiglia, mantenendone le idee e i comportamenti, reagendo quando vede toccate le sue ferite, mentre noi continueremo ad escludere tali situazioni per la stessa ragione, per la stessa fedeltà. Il terreno in cui ci troviamo, quando vogliamo cambiare l'altro, è esattamente lo stesso: l'esigenza di innocenza. Se, come abbiamo detto, cambiare ciò che ci accomuna a loro (anche quando ne siamo completamente inconsapevoli) viene vissuto come un tradimento, allo stesso modo lo è accogliere ciò che il nostro gruppo ha escluso, deriso e giudicato. Ognuno con la sua fedeltà si sabota la vita, senza vedere che l'altro si comporta in quel preciso modo per la stessa ragione che spinge noi a comportarci diversamente. Quindi, in sintesi, ognuno si sente migliore, perché esegue le regole che nella sua famiglia gli farebbero guadagnare maggior diritto di appartenere, ma questa è un'illusione: in realtà siamo uguali all'altro e schiavi dello stesso meccanismo. Vedere questo ci riporta con i piedi per terra, facendoci scendere dal piedistallo e ridimensionando la nostra arroganza, nata proprio dall'aver assunto e assecondato le idee familiari, assumendole come migliore di quelle di tutti gli altri gruppi. A quel punto e solo a quel punto potremo avere a che fare con gli altri, instaurando relazioni alla pari con chi viene da esperienze diverse. Tutti pensiamo di esserne in grado, ma non è così. Inizialmente vediamo solo ciò che ci accomuna all'altro e lo esaltiamo, poi escono fuori le differenze e siamo portati a difendere la nostra parte a spada tratta: questa è innocenza e per difenderla mettiamo a repentaglio la relazione. Allargare la visione di noi stessi e dell'altro è la soluzione: entrambi veniamo da gruppi differenti, abbiamo interagito con persone differenti e fatti esperienze altrettanto diverse, ma c'è eguale dignità. Per allenarci ad ampliare la prospettiva può essere utile sentire o visualizzare dietro a ogni persona i suoi familiari, ognuno con le sue esperienze, che portano la persona ad essere così, e vedere noi allo stesso modo. Così facendo è possibile rispettare le differenze, riconoscendoci uguali e non cadendo più nella fedeltà cieca, iniziando a sperimentare un altro tipo di amore: l'amore cosciente e oggettivo, al di là delle opinioni e delle illusioni umane.