"L'importanza della Comunicazione" di Ambra Guerrucci


Sempre di più mi rendo conto di quanto la comunicazione sia un tema centrale della vita di ognuno e non solo delle persone in cerca di maggior consapevolezza. Il modo di comunicare può fare la differenza negli esiti di qualsiasi confronto, rendendolo conflittuale o una crescita per entrambi. Per me la base della comunicazione è il riconoscimento della pari dignità di quello che ognuno pensa e sente, quindi del punto di vista personale, a prescindere da quanto possa essere ampio. Alla base di una comunicazione efficace, secondo la mia esperienza, c'è l'ascolto. Può sembrare scontato, ma non lo è affatto. Non è scontato ascoltare l'altro e tantomeno sé stessi. Quando l'altro viene a condividere un'esperienza ci sono due modi principali in cui si può rispondere: con un'affermazione o con una domanda. Prima di rispondere in un modo o nell'altro sono solita chiedermi: cosa mi muove nella risposta? Le affermazioni hanno in genere come base l'idea di aver già capito, mentre le domande sono mosse dalla curiosità di capire di più e di cercare di proiettare il meno possibile i propri pregiudizi. Chiedere per cogliere come si sente l'altro, come vive la cosa, quali parti gli si sono attivate e accoglierle, è il primo moto per creare integrazione e non divisione. Non sono "nata imparata" e anche io, per molto tempo, ho risposto proiettando le mie idee sull'altro, etichettando le ferite ed i meccanismi come cose senza dignità. Nell'incapacità di accogliere queste parti che l'altro mi mostrava, però, creavo distanza. Non avere pregiudizi non è facile, né dobbiamo costringerci a ciò, perché anche questo movimento nascerebbe dall'aver assunto questo stato come ordine morale o modello ideale. Uscire dai pregiudizi presuppone di vederli più e più volte, riconoscerli, permettendosi di andare oltre di essi. Ho imparato, attraverso le esperienze, a chiedere sempre di più, in un ascolto sempre più profondo e poi, se richiesto, dare la mia opinione. Ma per esprimere la mia visione devo prima vedere e per vedere devo sentire profondamente ciò che l'altro mi comunica, oltre le parole. Quelle parti messe sul piatto ci sono, sono lì e far finta che non esistano, oppure giudicarle, non permette una comprensione reciproca. Quando l'altro ci mostra le sue fragilità ci offre un dono di fiducia, che porta con sé una responsabilità, quella di accogliere e costudire tali parti così fragili. L'altro ci dice semplicemente dove interiormente è, dove si trova ed è inutile, se una persona si trova a Milano, chiedergli di essere istantaneamente a Bologna. Sarebbe sufficiente accogliere il suo essere dov'è, sentirlo, procedendo insieme e non per forza portarlo dove siamo noi, ma forse spostarci ancora insieme, verso una nuova meta, una nuova visione. Così si cresce, non pretendendo che l'altro la pensi come noi, ma ascoltando cosa veramente ci dice e prendendolo lì, per poi procedere insieme. Quando l'altro ci chiede cosa ne pesiamo possiamo rispondere in ascolto, partendo comunque da spiegare all'altro cosa ci muove nel dargli una risposta. Potrebbe essere una parte di noi nata da un'esperienza analoga, oppure un altro tipo di io. In quel contesto è bello chiedere all'altro cosa gli muove la nostra risposta, cosa sente, perché potremmo inavvertitamente avergli toccato dei "nervi scoperti" e prendendone consapevolezza possiamo affinare ancora di più il modo di comunicare. Riconoscere alla prospettiva dell'altro pari dignità è quindi il primo passo e ci mette in condizioni di includerlo, anziché escluderlo, così da superare i nostri limiti prospettici. Un altro passo importante sarebbe poi trovare persone con cui comunicare ad un livello ancora più profondo, in cui ognuno parla non solo della tematica, ma anche dell'io che lo sta muovendo o che l'ha mosso durante il fatto che viene esposto, ponendosi da osservatore. Così facendo, il dialogo, raggiunge un livello di consapevolezza ancora maggiore e porta entrambi a capire e capirsi di più. Imparare ad ascoltarsi e riconoscere da cosa siamo mossi, per condividerlo così, rafforza la presenza e neutralità. Farlo con un'altra persona permette un incontro diverso dall'ordinario, essenziale e comunque alla pari, in cui la dignità di ognuno così com'è viene riconosciuta naturalmente. Così si esce dalle due forze che normalmente ci smembrano, quella propositiva e quella oppositiva. Fino a quando siamo a servizio di tali forze vivremo una frammentazione importante, continuando ad alimentare il conflitto interno ed esterno. Sviluppare la neutralità è un processo importante e per niente automatico, ma vale la pena tentare, in quanto migliora il rapporto con noi stessi e con gli altri.